domenica 28 ottobre 2012

Apparenza

 
 

Uscire solo per mangiare un boccone e rientrare a casa pestati da uno schiaffo morale. Succede.

Il fatto è che a volte, in un attimo inaspettato, le persone che per uno slancio di snobbismo consideri inferiori a te, ti ricordano e sottolineano –del tutto  involontariamente- che non sei affatto migliore di loro.

Trattoria in centro città. Dietro il mio tavolo quattro ragazzi, due coppie: catenine, vestiti seconda pelle, voce megafonata, zeppe e scarponi. Dibattono di gite a Monte Arcosu e cenoni di campagna. Parlano a bocca piena e con voce talmente alta che sembra comunichino in stanze diverse. Passandosi il prosciutto con le mani fanno conoscere a tutta la sala i loro piani.
I soliti gaggi” penso. Subito dopo entra un indiano, un venditore di rose. Uno dei ragazzi apre allora il suo teatrino, domandando rose di colori assurdi e sempre diversi che il tale, di volta in volta, va a prendere fuori (non saprei dove).

Non comprerà nulla” ho quasi voglia di alzarmi e intervenire per farlo smettere. A un certo punto uno dei quattro chiama il cameriere. “E’ il colmo” penso convinta che voglia allargare il sipario al resto della sala. “Nenno me la porti subito una focaccia bianca da portare via?” ordina invece al cameriere.

Nel frattempo allontana la sedia dal tavolo ed estratto il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans tira fuori una banconota da 10 euro. La consegna al giovane indiano che lascia sul tavolo due rose: una azzurra e una nera.
Arriva il cameriere con un pacchetto in mano: la focaccia. Il leader del gruppo la prende e con un sorriso indulgente come quello delle madri la porge al suo amico. Quello risponde solo con un grazie, che però ha dentro tutto un mondo di riconoscenza.

Credevo già di sapere come sarebbe andata, invece mi sono schiantata a 200 km/h sul muro del mio pregiudizio. E sono rimasta senza parole, tutta la sera, per colpa di quel gaggio molto più civile di me.


“Ognuno vede quel che tu pari, pochi sentono quel che tu sei”
Niccolò Machiavelli
 
(Pubblicato su Cagliaripad N.2)

lunedì 15 ottobre 2012

Lettera di una madre ai figli





"Caro Marietto, caro Peppi

una lettera così scendilacrime non me l'avevate mai scritta, mi sono molto commossa e siccome che non sono molto brava a dirne di sentimenti ve li scrivo. Tutte le volte che mi è venuta la voglia di dirvi quanto mamma vi vuole bene è stato più facile mettere nella griglia una bella bistecca e fare le patatine fritte o cose del genere, ma mi sembra, ora che siete grandi, che non ho più tutto il tempo che voglio a disposizione ed è meglio che vi dico certe cose finché sono viva e vegetativa.

Voi nella vostra lettera dicete che non mi avete scelto ma che sono proprio come mi volevate. Io vi dico invece che lo avete fatto. Lo avete fatto quando vi ho trattato con troppa severezza e voi l'avete accettato con i lacrimoni negli occhi. Lo avete fatto quando vostro padre stava tirando il cuio per colpa dell'infarto e voi siete stati uomini maturi e presenti. Lo avete fatto quando volevo mandarvi a tutti i costi a diventarne ragionieri e invece voi volevate già fare i ferrai e io non lo capivo.

Certo non posso dire che non mi avete dato il filo da cuocere ma è il mestiere dei bambini fare i baston contrari e la mamma questo lo deve sapere, non si può pretendere di mettere figli sul mondo e volerli che nei negozi non provano i giocattoli, che nella spiaggia non toccano l'acqua e mangiano tutta la lasagna, che al parco non si sporcano di erba e non fanno pipì all'aria, che a casa dei parenti non frugano nelle credenze!

A questo punto mamma deve sputare la rana su un fatto che non vi ho mai detto. Vi ricordate quella volta che vi avevo preso a colpi di mestolo e tolto il vino per un mese perché avevo trovato la gatta con i peli tutti rasati nel fianco? Eravate ancora piccolini, sui venti anni mi sembra. Poi avevo scoperto che era stato vostro padre che stava pensando di operarla all'ernia tutto da solo. Già me l'ero sistemato! Ma a voi non avevo detto niente perché me n'ero sotterrata dalla vergogna per avervi tolto il vino per un mese intero e non eravate stati voi. Ora ve l'ho detto, avevo questo pelo sullo stomaco e non sapevo proprio più come fare. Vi chiedo perdono.

Una mamma non è mai pronta a tutte le cose che arrivano con i figli, e può sapere solo quello che ha nell'istinto, che la maggior parte delle volte è giusto, ma a volte sbaglia. Per tutte le volte che ho sbagliato mamma è stata male perché gli occhi di un bambino triste sono più affilati di un serramanico e fanno tanto male nel cuore. Tante volte me ne sarei tagliata un braccio per non vedervi così dolorosi ma poi mi sono detta 'ayò Pinuccia, che i tuoi proli hanno bisogno di te!'.

Io e vostro padre ci siamo sempre imboccati le maniche e abbiamo cercato di impararvi che ogni volta che vi compravamo anche solo una scatola di munizioni per il fuciletto a salve dietro c'era tanta fatica e sudore, e voi lo sapevate perché ci avete sempre visto stanchi come morti.

Posso ringraziare Nostrosignore per avere dei figli come voi che mi hanno anche dato dei nipotini ingegnevoli e svegli, che hanno anche voglia di andare a scuola. Vostro padre è tornato bambino da quando ci sono loro e certe volte lo guardo mentre gioca e mi sembra che al posto di Cesarino o Lillo ci siete ancora voi, tornati piccolini, e mi viene voglia di prendervi ancora in braccio. Solo che sicuramente ora non vi farei fare il ruttino!

Pultroppo in una lettera non posso dirvi tutto quello che ho nella testa, ma un'altra cosa ve la voglio dire. Ho sentito dire da qualche parte che i genitori non devono pensare che i figli sono i loro perché devono solo crescerli e darli l'educazione e farli sentire liberi. E io sono d'accordo. Vi dico però che io vi lascio liberi e non vorrei mai che vi sentite ingabbiati da me ma per quanto mi guarda io mi sento e sono completamente vostra.

Con amore
mamma Pinuccia"


tratto dalle Avventure della famiglia Usai