Completamente infreddolita un po’ per essermi spogliata dal mio caldo pigiama ed aver indossato quel camicione con i lacci dietro, un po’ per l’agitazione che a un certo punto mi ha preso, mi adagio sul quel lettino a rotelle. Parte la mia lettiga. Odio vedere gli spazi da una prospettiva orizzontale, non è un buon inizio.
Corridoi, ascensori. Mi parcheggiano in un ambiente che sembra la cella frigorifera di una macelleria, davanti a un portone di metallo grigio. Dopo un po’ vedo arrivare una cannula scintillante che mi prende per il culo mentre mi guarda, grossa quanto una cannuccia,vedo solo lei, non chi la tiene in mano. “Sentirai un po’ di dolore”. Vaffanculo (non rispondo io). Un bruciore lancinante alla mano. Brutta stronza non potevi metterla nel braccio? (non dico io). “Fatto, hai visto?”. Mi fa male la mano.
Parte il lettino ma vedo solo luci al neon, tubi e stoffe blu che vanno e vengono. “Come stai sa pippia?” mi chiede il mio otorino che sarà anche il chirurgo. Da Dio ma senza i miracoli gli rispondo, ma ho le parole appese alla lingua e si staccano con difficoltà, così come ogni movimento degli occhi che mi sembra un giro del mondo. Mi aspetto qualche coccola col solito conta fino a dieci. Nulla invece. Si avvicina qualcuno che armeggia col tubo che ho attaccato alla mano, dev’essere l’anestesia. Mi viene la brillante idea di provare a resisterle.
Mi concentro mentre una siringa si svuota nel mio braccio, non sento niente, non inizio a contare convinta di poter vincere la lotta contro quel sonnifero pesante. Un leggero formicolio alla testa, simile all’effetto di due bicchieri di vino nero. Bum.
“Alessandra!” mi sento come afferrare per i capelli da un bellissimo sonno vuoto dal quale non ho voglia di uscire. Mi sembra passato un minuto. Non so dove sono. Mi riaddormento.
“Alessandra!”. E basta miseria! Fammi dormire.
“Prova a scivolare sulla destra”.
Mi lancio nel vuoto, e mi accoglie il mio letto. Sento come una pietra infilata in gola, ma ho troppo sonno. Apro gli occhi per un attimo, un po’ spaesata, non so ancora dove sono.
Mia madre mi guarda con uno sguardo che hanno solo le madri, non so dove sono ma so che c’è lei, e ho tutto.
Chiudo gli occhi e mi riaddormento.